La Repubblica (in greco antico: Πολιτεία, Politéia) è un dialogo socratico, scritto dal filosofo greco Platone intorno al 375 a.C., la quale ha avuto enorme influenza nel pensiero occidentale.
La Repubblica è l'opera più nota di Platone ed una delle opere di filosofia e teoria politica più influenti al mondo, sia dal punto di vista intellettuale che storico.
Nel dialogo, Socrate discute con vari ateniesi e stranieri sul significato della giustizia e se l'uomo giusto sia più felice dell'uomo ingiusto.
Leonidas Drosis | Statues of Plato (left) and Socrates (right) at the Academy of Athens
Egli considera la natura dei regimi esistenti e poi propone una serie di città ipotetiche a scopo di confronto, culminando in Kallipolis (Καλλίπολις), una città-stato utopica governata da una classe di re-filosofi.
Si parla anche di invecchiamento, amore, teoria delle forme, immortalità dell'anima e ruolo del filosofo e della poesia nella società.
L'argomento principale del Libro III è l'istruzione.
Poesia e musica devono essere rigorosamente e rigorosamente limitate alla creazione di cittadini migliori.
L'attacco diretto a questo punto contro l'ignobile teologia di Omero è un magnifico esempio di critica letteraria.
I miti devono essere inventati espressamente per giustificare l'organizzazione dello Stato.
Gli individui devono passare facilmente da una classe all'altra, secondo la loro idoneità.
L'Educazione e le Arti
Platone - La "Repubblica"
Libro Terzo (english)
"Ora, caro amico", ripresi, "è probabile che abbiamo trattato da cima a fondo l'aspetto della musica relativo alle narrazioni e ai miti: è stato stabilito ciò che si deve dire e come lo si deve dire".
"Sembra anche a me", disse.
"E ora", domandai, "ci restano da trattare i generi del canto e delle melodie?" "è chiaro".
"Ma se vogliamo accordare il nostro discorso con le premesse, non sarebbe ormai facile per chiunque trovare le parole adatte a spiegare come devono essere questi generi?"
E Glaucone sorridendo disse: "Io, Socrate, rischio di rimanere fuori da questo chiunque. Non sono in grado, almeno per ora, di comprendere di quali generi dobbiamo trattare; tuttavia posso congetturarlo".
"Se non altro, però", ribattei, "sei in grado di asserire questo primo punto, ovvero che la melodia è composta di tre elementi: la parola, l'armonia e il ritmo".
"Sì", rispose, "questo sì".
"Ma per quanto concerne la parola essa non differisce in nulla dalla semplice recitazione, poiché la si deve esprimere nelle stesse forme e nelle stesse modalità che abbiamo fissato prima?" "è vero", disse.
"E l'armonia e il ritmo devono seguire la parola".
"Come no?" "Per la verità abbiamo detto che nei discorsi non c'è alcun bisogno di lamenti e gemiti".
"No di certo".
"Quali sono dunque le armonie lamentose? Dimmelo tu, che sei esperto di musica".
"La mixolidia, la sintonolidia e altre simili". "Queste allora", chiesi, "si devono escludere? Sono inutili anche per le donne che devono essere oneste, figurarsi per gli uomini!".
"Giusto".
"Ma per i guardiani l'ubriachezza, la mollezza e la pigrizia sono più che mai disdicevoli".
"Come no?" "E quali sono le armonie molli e adatte ai simposi?" "Certe armonie ioniche e lidie", rispose, "che si chiamano appunto rilassate".
"E tu, caro amico, potrai mai usarle con i guerrieri?" "Nient'affatto", rispose; "ma forse ti rimangono soltanto la dorica e la frigia".
Raffaello Sanzio | School of Athens, 1509 | Musei Vaticani
"Non conosco le armonie", dissi, "ma tu conserva quella che sappia imitare convenientemente la voce e gli accenti di un uomo che dimostra coraggio in un'azione di guerra o in una qualsiasi opera violenta, e che anche quando non ha avuto successo o va incontro alle ferite o alla morte o è caduto in altra disgrazia, in tutte queste circostanze lotta contro la sorte con disciplina e fermezza; e conserva pure un'altra armonia, capace di imitare un uomo impegnato in un'azione pacifica non per costrizione ma per sua volontà che cerca di persuadere un dio con la preghiera o un uomo con l'ammaestramento e i consigli, o al contrario si mostra disponibile quando un altro lo prega o gli dà ammaestramenti o cerca di dissuaderlo, e in virtù di questo ha ottenuto un risultato conforme ai suoi propositi e non ne va superbo, ma in tutte queste circostanze si comporta con temperanza ed equilibrio, accettando ciò che gli accade.
Conserva queste due armonie, una violenta e l'altra volontaria, che sapranno imitare nel modo migliore le voci di persone sventurate, fortunate, temperanti, coraggiose".
"Ma tu mi chiedi di conservare solo quelle che ho citato prima".
"Allora", ripresi, "nei canti e nelle melodie non avremo bisogno di molti suoni e di armonie complicate".
"Mi pare di no", disse.
"Perciò non manterremo costruttori di trigoni, di pectidi e di tutti gli strumenti policordi e panarmonici".
"Evidentemente no".
"E i costruttori di flauti e i flautisti, li accoglierai nella città? Non è forse questo lo strumento più ricco di suoni, e gli stessi strumenti panarmonici non sono un'imitazione del flauto?" "è chiaro", rispose.
"Allora", feci io, "come strumenti utili nella città ti rimangono la lira e la cetra, mentre nei campi i pastori avranno una specie di zampogna".
"Così almeno ci porta a concludere il discorso", disse.
"D'altronde, caro amico", aggiunsi, "non facciamo nulla di strano se preferiamo Apollo e gli strumenti di Apollo a Marsia e agli strumenti di Marsia". "Non mi pare proprio, per Zeus!".
"Corpo d'un cane!", esclamai. "Senza rendercene conto stiamo di nuovo purgando la città che poc'anzi abbiamo definito immersa nella mollezza!".
"E in ciò operiamo da persone sagge", disse.
"Su", continuai "purghiamola anche del resto. La trattazione dei ritmi si conformerà a quella delle armonie: non dovremo andare in cerca dei ritmi variegati e di metri d'ogni genere, ma considerare quali sono i ritmi di una vita ordinata e coraggiosa; e una volta che li avremo individuati, costringere il piede e la melodia a seguire il modo di esprimersi dettato da questa vita, anziché adattare la parola al piede e alla melodia. Quali poi siano questi ritmi, è compito tuo indicarlo, come nel caso delle armonie".
"Ma per Zeus", obiettò, "non ne sono capace! Potrei dire, perché l'ho osservato, che i generi da cui si combinano i metri sono tre, come nei suoni ce ne sono quattro da cui derivano tutte le melodie; ma non so dire che tipo di imitazioni siano, e di quale vita".
"Ma su questo", dissi, "ci consulteremo anche con Damone: quali metri si addicono alla meschinità e all'insolenza, o alla follia e ad altre manifestazioni di malvagità, e quali ritmi bisogna riservare ai sentimenti opposti.
Jacques Louis David | The Death of Socrates, 1787 (study) | Metropolitan Museum of Art
Credo di averlo sentito parlare vagamente dell'enoplio, un certo metro composto, del dattilo e del verso eroico, che lui non so come ordinava con un'uguale ripartizione di arsi e tesi; e poi, mi sembra, faceva menzione di un giambo e di un altro piede, il trocheo, ai quali adattava le lunghe e le brevi.
E mi pare che per alcuni di questi metri criticasse o lodasse i movimenti del piede non meno dei ritmi stessi, o qualcosa di comune a entrambi, non lo so di preciso... ma queste cose, come ho detto, rifiliamole a Damone, poiché distinguerle non è affare di poco conto.
Non credi?" "Certo per Zeus!".
"Ma sei in grado di distinguere almeno questo, che la presenza e la mancanza di decoro si accompagnano alla presenza e alla mancanza di ritmo?" "Come no?" "Ma la presenza e la mancanza di ritmo seguono, per somiglianza, l'una lo stile bello, l'altra quello opposto, e lo stesso vale per l'armonia e la disarmonia, se il ritmo e l'armonia, come si diceva prima, si regolano sulla parola e non viceversa".
"Certo", confermò, "sono loro che devono seguire la parola".
"E l'espressione e i vocaboli", domandai, "non seguono il carattere dell'anima?" "Come no?" "Mentre il resto dipende dallo stile?" "Sì".
"Quindi la scelta felice dei vocaboli, l'armonia, il decoro e il buon ritmo conseguono dalla semplicità, non quella che è stoltezza ma noi addolciamo con questo eufemismo, ma quella disposizione d'animo contraddistinta da un carattere veramente buono e nobile".
"Senz'altro", disse.
"E non è forse questo che i giovani devono perseguire in ogni situazione, se vogliono adempiere il loro compito?"
"Sì, è questo".
"Ma queste qualità informano anche la pittura e le altre arti simili, la tessitura, il ricamo, l'architettura e la fabbricazione di ogni altra suppellettile, e inoltre la natura dei corpi e degli altri organismi; in tutto questo c'è decoro o bruttezza.
La mancanza di decoro, di ritmo e dì armonia è imparentata con la bassezza di linguaggio e di carattere, mentre le qualità opposte sono sorelle e imitazioni dell'opposto, cioè di un carattere saggio e onesto".
"Senza dubbio", disse.
"Dobbiamo dunque sorvegliare soltanto i poeti e costringerli a rappresentare nelle loro opere la bontà di carattere, o altrimenti a non poetare presso di noi; oppure dobbiamo sorvegliare anche gli altri artefici e impedire loro di introdurre ciò che è moralmente malvagio, sfrenato, ignobile e indecoroso sia nelle rappresentazioni di esseri viventi sia negli edifici sia in ogni altro manufatto, o altrimenti non permettere di lavorare presso di noi a chi non sia capace di osservare questo precetto, per evitare che i nostri guardiani, allevati tra immagini disoneste come tra le erbacce, cogliendone poco per volta ogni giorno una grande quantità e pascendosene, accumulino senza avvedersene un unico grande male nella loro anima?
Non bisogna al contrario cercare quegli artefici che sappiano nobilmente seguire le tracce della natura di ciò che è bello e decoroso, affinché i giovani, come chi abita in un luogo salubre, traggano vantaggio da qualunque parte un'impressione di opere belle tocchi la loro vista o il loro udito, come un soffio di vento che porta buona salute da luoghi benefici, e sin dalla fanciullezza li conduca senza che se accorgano alla conformità, all'amicizia e all'accordo con la retta ragione?"
"Questa", rispose, "sarebbe per loro l'educazione di gran lunga migliore".
"E l'educazione musicale, Glaucone", proseguii, "non è forse di estrema importanza per il fatto che il ritmo e l'armonia penetrano nel più profondo dell'anima e vi si apprendono con la massima tenacia, conferendole decoro, e infondono dignità in chi abbia ricevuto una corretta educazione, altrimenti producono l'effetto contrario?
Chi è stato educato a dovere in questo campo si accorgerà con grande acutezza di ciò che è difettoso e mal costruito oppure è imperfetto per natura, e con giusta insofferenza loderà le cose belle e accogliendole con gioia nell'anima saprà nutrirsene per diventare un uomo onesto, mentre biasimerà e detesterà a buon diritto le cose brutte sin da giovane, ancora prima di poterne capire razionalmente il motivo; e una volta acquisita la ragione la saluterà con affetto, riconoscendo la sua grande affinità con l'educazione ricevuta".
Jacques Louis David | The Death of Socrates, 1787 | Metropolitan Museum of Art
"Mi sembra", disse, "che l'educazione musicale abbia questo fine".
"Allo stesso modo", ripresi, "abbiamo acquisito una piena padronanza dell'alfabeto quando ci siamo resi conto che le lettere sono poche e ricompaiono in tutte le parole esistenti, e non le abbiamo trascurate in nessuna combinazione, piccola o grande che fosse, come se lì non occorresse individuarle, ma ci siamo sforzati di riconoscerle ovunque, perché solo così , e non prima, saremmo divenuti buoni conoscitori dell'alfabeto..." "è vero".
"Perciò anche le figure delle lettere, se mai apparissero nell'acqua o in uno specchio, non le distingueremo se non conosciamo già le lettere stesse, anzi ciò fa parte della stessa arte e dello stesso studio?" "Senza dubbio".
"Allora, per gli dèi!, come dico di solito, non saremo esperti di musica, noi stessi e i guardiani che sosteniamo di dover educare, se prima non riconosceremo gli aspetti della temperanza, del coraggio, della generosità, della magnanimità e di tutte le virtù loro sorelle, come pure dei vizi a loro contrari che circolano ovunque, e non avvertiremo la loro presenza e quella delle loro copie, senza trascurarne alcuna, negli esseri in cui si trovano, piccoli o grandi che siano, nella convinzione che facciano parte della stessa arte e dello stesso studio?" "è davvero necessario", rispose.
"Perciò", dissi, "quando capita che l'anima di un uomo sia fornita di nobili qualità morali e i tratti del suo aspetto siano in accordo e in armonia con esse, in quanto partecipi della stessa impronta, sarà lo spettacolo più bello che si possa contemplare?" "E come!" "E quanto più una cosa è bella, tanto più è amabile?"
"Come no?"
"Allora il musico potrebbe innamorarsi solo di chi presenta queste doti nella forma più alta, non di chi è privo di armonia".
"No", rispose, "almeno se il difetto fosse nell'anima; se invece fosse nel corpo, lo sopporterebbe, tanto da acconsentire ad amarlo".
"Capisco", feci io, "che ami o hai amato una persona così , e te lo concedo. Ma dimmi questo: la temperanza ha qualcosa in comune con un piacere eccessivo?"
"E come può averlo", rispose, "se questo porta fuori di senno non meno del dolore?" "E con qualche altra virtù?"
"Assolutamente no!".
"E con l'insolenza e la sfrenatezza?"
"Più di tutto!".
"Sai dirmi un piacere maggiore e più acuto di quello amoroso?" "No, e neanche uno più folle".
"Il giusto amore invece è la naturale inclinazione ad amare ciò che è ordinato e bello secondo la temperanza e l'armonia della musica?"
"Certamente", rispose.
"Quindi al giusto amore non bisogna accostare nulla che sia folle o affine alla sfrenatezza?" "No, non bisogna".
"Questo piacere va pertanto escluso e non deve avere relazione alcuna con un amante e un amato che si amino davvero?"
"Ma certo, per Zeus!", rispose. "Dobbiamo escluderlo, Socrate!".
"A quanto pare, dunque, nella città da noi fondata stabilirai per legge che l'amante baci l'amato, stia con lui e lo tocchi come un figlio, per un nobile fine e con il suo consenso, ma quanto al resto si comporti con la persona a lui cara in modo tale da non dare mai l'impressione che si spinga con lui troppo oltre questi limiti, altrimenti dovrà sostenere il biasimo di uomo ignorante di musica e inesperto del bello".
"Proprio così", disse.
"Ma non sembra anche a te", chiesi, "che il nostro discorso sulla musica sia giunto alla conclusione? Esso è terminato proprio là dove deve terminare: la musica trova il suo compimento nell'amore del bello".