Textual description of firstImageUrl

Wisława Szymborska | La memoria / Memory finally

La memoria finalmente ha quel che cercava.
Si è trovata mia madre, mi è apparso mio padre.
Ho sognato per loro un tavolo, due sedie. Si sono seduti.
Erano miei di nuovo e per me di nuovo vivi.
Sono balenati con le due lampade sul viso
all'imbrunire, come a Rembrandt.


Solo ora posso dire
In quanti sogni hanno vagato, in quante rese
li tiravo fuori da sotto le ruote,
in quante agonie da quante mani mi scivolavano.

Recisi - ricrescevano di traverso.
L'assurdità li costringeva alle mascherate.
Che importa che non potevano soffrirne fuori di me,
se ne soffrivano in me.

La turba sognata mi ha sentito chiamare "mamma"
qualcosa che saltellava pigolando su un ramo.

E si è riso del fiocco sulla testa di mio padre.
Mi risvegliavo con vergogna.
E infine,
una notte normale,
da un venerdì qualsiasi ad un sabato,
mi sono arrivati così come li volevo.

Mi apparivano in sogno, ma come liberi da sogni,
obbedienti solo a sé stessi e null'altro.
Nel fondo del quadro si erano spente tutte le possibilità,
ai casi è mancata la forma necessaria.

Solo loro splendevano, a lungo e felicemente.
Mi sono svegliata. Ho aperto gli occhi.
Ho toccato il mondo come una cornice intagliata.

Maria Wisława Anna Szymborska (1923-2012) was a Polish poet, essayist, translator and recipient of the 1996 Nobel Prize in Literature "for poetry that with ironic precision allows the historical and biological context to come to light in fragments of human reality".

Wisława Szymborska | Memory finally

Memory’s finally found what it was after.
My mother has turned up, my father has been spotted.
I dreamed up a table and two chairs. They sat.
They were mine again, alive again for me.
The two lamps of their faces gleamed at dusk
as if for Rembrandt.

Only now can I begin to tell
in how many dreams they’ve wandered, in how many crowds
I dragged them out from underneath the wheels,
in how many deathbeds they moaned with me at their side.
Cut off, they grew back, but never straight.
The absurdity drove them to disguises.


So what if they felt no pain outside me,
they still ached within me.
In my dreams, gawking crowds heard me call out Mom
to a bouncing, chirping thing up on a branch.
They made fun of my father’s hair in pigtails.
I woke up ashamed.

So, finally.
One ordinary Friday night
they suddenly came back
exactly as I wanted.
In a dream, but somehow freed from dreams,
obeying just themselves and nothing else.

In the picture’s background possibilities grew dim,
accidents lacked the necessary shape.
Only they shone, beautiful because just like themselves.
They appeared to me for a long, long, happy time.

I woke up. I opened my eyes.
I touched the world, a chiseled picture frame.