Lei non ci sarà, lei sarà già ripartita, il telefonista ha capito male, è impossibile che lei ci sia, è impossibile che lei lo abbia chiamato.
Chiede dell'Albergo Moderno. Laggiù in fondo, subito dopo quello slargo, in quel momento ricominciava l'inquietudine maledetta, fermò la macchina, entrò col batticuore, un albergo come tanti altri di provincia, a destra lo sgabuzzino del portiere.
La signorina Anfossi? Chi devo dire?
Le nove meno un quarto. Sarà già vestita?
Dice di aspettarla che fra cinque minuti scende.
Sedette su una poltroncina, di là attraverso una vetrata si vedeva una grande sala, con qualche tavolino ai bordi, ballavano alla sera? lei con chi avrà ballato?
Improvvisamente lei comparve, scarmigliata e senza trucco:
- "Come mai sei venuto tanto presto?"
- "Così mi ha fatto sapere il telefonista. Domani presto, c'era scritto sul biglietto".
- "Ma io devo ancora vestirmi, ho da fare le valige, poi devo salutare una famiglia che sono stati così gentili con me".
- "E allora a che ora vuoi partire?"
- "Non so. Ma tu hai fretta? Potremmo partire dopo mezzogiorno".
- "E mangiamo qui a Modena?"
- "Be' senti adesso tu prendi un caffè e io intanto vado di sopra a prepararmi".
Salutava confidenzialmente i camerieri, scherzava con la ragazza del bar, sembrava a casa sua, perfettamente sicura di sé, con quella sua aria sempre un po' ribalda, era pallida, il naso petulante più del solito.
Era come le ragazzine brune appena uscite dal letto, la faccia non ancora organizzata, quella trasparenza un po' livida della pelle, quel colore di marmo, quell'ombra della notte ancora attaccata alle guance, alla bocca, quella specie di verginità carnale che si rinnova ogni giorno dell'anno, quella sincerità disarmata del corpo colto di sorpresa, che fa apparire più brutte le vecchie e anche le giovani le rende meno belle ma in compenso le giovani allora diventano più nude, forti, sporche, selvagge, eccitanti, confidenziali, il bello e il brutto spiccano cosicché risulta nella Laide il popolaresco guizzo, l'improntitudine, la piccola bocca si apriva e si chiudeva, le due piccole compatte labbra, specialmente il labbro inferiore, protendendosi in fuori come petali capricciosi e impertinenti.
Antonio la guardava con la insperata consolazione di trovarla bruttina, in fondo ce n'erano migliaia di ragazzette meglio, non è che tutti i maschi del mondo dovessero correrle dietro e a lui stesso in fondo adesso non importava gran che, per un istante egli sperò di potere liberarsi dall'ossessione, ma fu un istante brevissimo, la Laide che si era seduta e stava bevendo un caffelatte strinse con la destra l'avambraccio del cameriere che la stava osservando e disse: "Giacomo ti prego portami una di quelle brioches che sai" ed Antonio osservò che il cameriere era un ragazzo di venti ventun anni col naso lungo e pesante e il mento piccolo, brutto si poteva dire, ma c'era in lui una imbambolata tensione virile e Antonio si domandò se. Era assurdo, era spaventoso, era di una estrema semplicità: quella notte stessa forse, pensò, magari per puro capriccio Laide se lo era fatto venire in camera.
Giacomo sorridendo arrivò con la brioche su di un piattino, lei prese la brioche: "Vado a chiudere la valigia" disse, e se ne andò.
Antonio la accompagnò fino alla scala, chiese:
- "Non posso venire su?".
Lei disse:
- "Sei matto?". Lui restò ad aspettare in una poltroncina di vimini che stava in un angolo da cui poteva controllare la scala.
Dal suo banco là in fondo il portiere lo poteva vedere. Antonio si sentiva imbarazzatissimo e ridicolo. Alla sua età farsi veder menare al guinzaglio da una ragazzina. Lo zio! Figurarsi se il portiere non aveva mangiato la foglia.
La classica situazione, il vecchio che paga e la maschietta che se ne va a spasso coi fusti. Nello sguardo di un cameriere che passava gli parve d'indovinare l'ironia.
Un passo sulle scale. No, era un passo d'uomo. Comparve un giovanotto in pullover che teneva a un braccio una giacca di camoscio. Un tipo sportivo. Forse uno dei piloti che si allenavano al circuito, un collaudatore.
Per caso - si chiese Antonio - era a motivo di costui che Laide gli aveva proibito di salire di sopra in camera sua? Mentre Laide prendeva il caffelatte con lui Antonio, per caso nella camera di lei il giovanotto stava facendosi la barba?
Antonio lo scrutò ma quello passò via in direzione dell'uscita senza minimamente badargli. Ne fu tranquillizzato. Se il giovanotto era in camera con lei, la Laide, per scendere, aveva dovuto trovare un pretesto, magari gli aveva detto che era arrivato suo zio.
In questo caso, se non altro per curiosità, il giovanotto avrebbe dato un'occhiata a lui, Antonio.
Del resto questa era una ipotesi assurda. La Laide, così preoccupata di salvare la forma (preoccupazione ridicola perché era sicuro che tutti, dal portiere all'ultimo cliente dell'albergo, la avevano catalogata per una puttanella in trasferta, figurarsi una che dice di fare la modella per fotografie di moda), la Laide non si teneva garantito un giovanotto in pianta stabile con lei. Dopo aver fatto l'amore l'avrebbe rispedito difilato in camera sua.
Un moto di ribellione interno.
Stava rimbecillendo?
Perché questo affannoso lavorio di sospetti gelosi?
Era sua, la Laide?
Che doveri aveva verso di lui?
Forse per quelle cinquantamila lire da lei chieste in prestito (storia di un debito contratto per la malattia della madre che si era impegnata di pagare a rate e una rata scadeva appunto il giorno dopo) e che lui era stato ben felice di darle per la sensazione di stringere con lei finalmente un legame privato?
No, non poteva onestamente pensare che quelle cinquantamila lire le imponessero un impegno neppure vago di fedeltà.
Dunque? Non era padrona di andare dove cavolo le piacesse e di farsi sbattere da chi voleva? Che cosa poteva obiettare lui?
Guardò l'orologio erano passati venti minuti, di là nella grande sala a vetrate risplendeva il sole, si alzò, uscì a togliere la capote alla macchina, ci teneva che la Laide trovasse la macchina scoperta, alle donne le macchine scoperte piacciono, danno un tono sportivo, moderno, di ricchezza, lui stesso in quella macchina, benché non fosse di lusso, si sentiva diverso, più giovane, più sicuro di sé, invidiato, era la prima volta che la adoperava ma già si era accorto che per la strada tutti lo guardavano, tutte le donne lo guardavano, specialmente quelle giovani.
Mentre abbassava la capote e la ripiegava nell'apposito alloggiamento, manovra abbastanza complicata, notò che due giovani inservienti dell'albergo si erano fatti sulla soglia e lo osservavano con l'interesse tipico dei giovani per tutte le automobili fuori del normale.
Cercò di fare il più presto possibile, ansioso che la Laide scendesse.
Quando rientrò, il portiere, sorridendo, gli disse:
- "No, sua nipote non è ancora discesa".
Sua nipote? Quella faccenda non gli piaceva per niente: quasi che lei ci tenesse a mettere bene in chiaro le cose: non vi verrà mica in mente alle volte che questo cinquantenne sia il mio amante? quasi che lei si sarebbe sentita umiliata nell'ammettere pubblicamente una relazione fisica con un uomo che poteva essere comodo suo padre.
D'accordo, il fatto che Laide lo invitava come suo zio dimostrava che non si vergognava di lui, anzi forse ci teneva a questa fittizia parentela, a farsi credere di una famiglia così per bene, nipotina prediletta di un uomo noto e stimato. Non solo, ciò creava fra loro due un legame, anche se falso, ben più solido di quello del tutto inconsistente, fra una ragazza squillo e un cliente.
E pure questo lo lusingava, Antonio aveva un piacere immenso per ogni cosa che gli permetteva, in un modo o nell'altro, di entrare nella vita di Laide, mondo ambiguo complicato peccaminoso e terribilmente milanese. Capiva però quanto l'assegnargli la parte di zio fosse comodo a Laide. Un alibi che le consentiva di fare l'amore con questo e con quello e nello stesso tempo di farsi condurre in giro da Antonio senza che ciò risultasse scandaloso.
Avrebbe avuto una voglia matta, quando il portiere dell'albergo, gli aveva parlato della nipote, di rispondere:
- "Nipote? Mai stata mia nipote, quella lì".
Poi si era fermato in tempo: avrebbe probabilmente fatto la figura del vecchietto cornuto e menato per il naso. Senza contare che lei, Laide, se per caso informata della cosa, sarebbe andata in bestia, capace magari di mandarlo a dar via l'anima alla presenza di tutti.
Così rimuginava quando lei discese. Era tutta in ordine, ben truccata e pettinata, indossava un vestito "plissé" e portava in braccio un minuscolo cagnolino maltese. Dietro veniva il facchino con una valigia, due valigette, un "beauty case" e un soprabito di antilope scamosciata.
- "E' questo il tuo famoso cagnolino?"
- "Mettiamo addirittura le robe in macchina?" fece lei prontissima senza rispondere e lui notò che dava un'occhiata intorno di controllo se mai altri, oltre al facchino avesse udito la domanda di Antonio. Perché era ben strano che uno zio non avesse mai visto il cagnolino della diletta nipote.
Si accorse pure che Laide di colpo si era ingrugnata: affrettò il passo in modo da distanziare il facchino e gli disse:
- "Se c'è una cosa che odio è di parlare delle nostre cose alla presenza di estranei!"
- "Che cose? Che cosa ho detto?"
- "Niente, niente" fece lei a bassa voce perché il facchino si stava avvicinando "in certe cose voialtri uomini siete dei perfetti cretini".
Si rasserenò per fortuna quando dinanzi all'albergo vide la spyder rossa che aspettava, fiammeggiante al sole di maggio.
- "E' tua?"
- "No. Me l'ha imprestata un amico".
- "Figurarsi. Quando è che ti deciderai a cambiarla quella tua vecchia baracca?"
Sistemarono le valige nel portabagagli, poi lei disse:
- "Senti, dovresti farmi un piacere, scusa sai".
- "Cosa?"
- "Qui all'albergo mi è rimasto qualcosa da pagare".
- "Sarebbe come dire il conto?"
- "Lo vedi come sei? Subito a pensar male. Il conto è già pagato. Vorresti che ti faccia venire da Milano fin qui perché mi paghi il conto dell'albergo? Mi stimi proprio poco sai. E' la nota del portiere, saranno quattro cinquemila lire".
Erano in realtà cinquemila e duecento. Pagò. Tornò fuori. Propose a lei, siccome non era ancora mezzogiorno, di partire subito, lui nel pomeriggio doveva essere in studio. Invece di mangiare là a Modena potevano benissimo fermarsi a Parma, anche a Parma c'erano dei buoni ristoranti.
- "Perché?" fece Laide "Chi ci obbliga a partire così presto? Possiamo partire dopo colazione, con l'autostrada fai in tempo benissimo. E poi io vorrei salutare Marcello".
- "Marcello chi sarebbe?"
- "Mio cugino no? Te l'avrò ripetuto dieci volte".
- "E non l'hai visto abbastanza in questi giorni tuo cugino?"
- "Una volta sola l'ho visto. Ha tanto di quel lavoro, in cantiere.
Spetta che vado a vedere se lo pesco".
Lasciò Antonio e si affacciò al banco del portiere. Per non farsi vedere assillante, lui non si mosse. La vide, attraverso la porta dell'albergo, che stava telefonando. Sembrava molto contenta. Rideva. Lui non vedeva l'ora che finisse. Accende una sigaretta. La vede che continua a telefonare, la vede ridere ancora.
La Laide ha messo giù il telefono e lo raggiunge sul marciapiede all'ombra della tettoia. Ha un'espressione felice.
- "E allora?"
- "Allora, non so se te l'ho detto, devo andare assolutamente a salutare una famiglia sono stati così gentili con me tu sapessi non posso mica andarmene via così senza salutarli".
- "Chissà a che ora andiamo a mangiare allora".
- "Oh per mangiare a me non mi imporla. Si potrebbe fare così. A minuti arriva Marcello e mi accompagna da questi amici. Tu intanto puoi andare a mangiare. Poi alle due alle due e mezza ci si trova e si parte subito. Così non ti faccio perdere tempo".
- "Vengo da Milano apposta a prenderti e tu mi pianti solo come un cane".
- "Su, non arrabbiarti adesso. Come faccio io, senò, con quegli amici?"
- "E poi quella faccenda di Marcello non mi sfagiola per niente. Mi ha
tutta l'aria che sia tuo cugino come io sono tuo zio". Gli occhi di Laide si sono dilatati. Di sorpresa e di rabbia.
- "Ecco, per te sono tutte puttane. Non si può voler bene a uno senza andarci in letto insieme? Non lo guarderei neanche più in faccia se non avesse rispetto per me".
- "Non mi vorrai mica dire che non ti ha mai dato un bacio".
- "Porco di un demonio" fa lei esasperata "me lo immaginavo sai che avresti piantato questa grana. Tutti uguali voi uomini. Noi dobbiamo per forza essere tutte delle troie! No, se proprio vuoi saperlo, Marcello non mi ha baciato mai. E' come se fossimo fratelli. Chiaro?" "Non mi pare sia il caso di prenderla così. Dopo tutto tu sei libera di fare il diavolo che vuoi".
- "Ah non bisognerebbe prendersela! Mi dai della puttana e non dovrei prendermela?"
- "E chi ti ha dato della puttana?"
- "Tu, se credi che io venga con te e poi vada anche con lui. Lui sì, se mai, potrebbe prendersela, se sapesse che noi due".
Antonio è sopraffatto. Antonio le crede, è inverosimile ma Antonio le crede, ha un tale accento di sincerità e di orgoglio offeso, la Laide.
Per essere capace di mentire così dovrebbe essere un mostro, no è impossibile che una ragazzina come lei riesca a una finzione così perfetta, dovrebbe avere una intelligenza e una fantasia da Shakespeare.
- "Be'" fa Antonio ammansito "e al tuo Marcello chi hai detto che sono io?" "Mio zio".
- "Uno zio spuntato fuori da un momento all'altro?"
- "Sì, gli ho detto che prima tu viaggiavi, che eri all'estero".
- "E lui ci ha creduto?"
- "Perché non avrebbe dovuto credere? Non sono mica tutti come te. Ma aspetta... mi pare che sia lui".
Dino Buzzati | Un amore | Capitolo XVII |
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