Fra il Velodromo Vigorelli e il recinto della Fiera c'è un largo spiazzo con un'isola di prato, chiuso a nord dallo schieramento compatto delle case nuove.
Qui Antonio alle sette meno dieci si fermò colla sua seicento.
Era in un anticipo addirittura ridicolo. Non voleva farsi vedere da lei così premuroso, sarebbe stata una troppo aperta confessione.
Faceva umido e freddo. Accese una sigaretta, nonostante il turbamento che gli davano le sigarette a digiuno.
Dino Buzzati | Uomo in una notte di neve, 1926 |
Pioveva a dirotto. Un'acqua violenta e rabbiosa di primavera che batteva sulla città livida, vuota e addormentata. Non c'era che lui.
Tutti gli altri dormivano. Tutti gli altri non sapevano.
La tregua era cessata. Fra pochi minuti la vedrà. Ma è vero? Non è per caso uno scherzo? O nel frattempo non possono essere successe tante cose? Lei sentirsi male per esempio? Come lo avrebbe avvertito? E' l'ora inospitale e ingrata in cui non ci sono più desideri. Chiusi e neri i locali del divertimento e del vizio, assopiti nella carnale stanchezza gli amanti, spenti i lumi, benché la luce del giorno non basti ancora.
Anche le auto dei più disperati nottambuli sono rientrate. Non una finestra accesa. Tutti chiusi nel tepore del letto. Solo furgoni delle immondizie che rotolano di quando in quando. Una luce che non è luce, è grigio, è sonno, è lucernario, è indifferenza assoluta.
Guai a chi in una città si lascia sorprendere da questa ora senza pietà, quando piove a cateratte e lui è solo.
Gli pareva di essere un bambino castigato e battuto ingiustamente, di cui nessuno sa nulla. In quel momento dormivano tutti, i fratelli, la mamma, gli amici, quelli che di lui avevano bisogno e di cui egli aveva bisogno. Non esistevano più. Erano incastrati nel sonno dell'alba, così profondo e benefico quando piove. Era solo. Si sentiva solo, ignorato e smarrito col suo affanno infernale di cui la gente avrebbe riso così volentieri.
E intorno, sotto la pioggia, ancora immobile, la grande città che fra poco si sveglierà cominciando ad ansimare a lottare a contorcersi a galoppare su e giù paurosamente, per fare, disfare, vendere, guadagnare, impossessarsi, dominare, per una infinità di voglie e accanimenti misteriosi, di cose meschine e grandi, lavoro, sacrifici e afflizioni infiniti, e impeti, e volontà che rompono, muscoli e scatti mentali, possessione e dominio, avanti, avanti! e lui inchiodato là, in un'auto utilitaria grondante d'acqua e di disperazione per un piccolo corpo bianco e giovanetto, con dentro un barlume d'anima, forse, che ha nome Laide, e che nessuno conosce.
Sipari di case grigie bagnate ed ermetiche, come di vite che non gli importavano niente. Il mondo? L'America e la Russia? La signoria della terra?
Piuttosto lei si sveglierà in tempo? La sveglia funzionerà? Farà abbastanza presto a vestirsi? La valigia l'ha già fatta? Dio, fa che la valigia sia pronta, che lei non sia indotta a rinunciare. Dormirà ancora? O sarà già in bagno a scrutarsi la faccia nello specchio, premendo un dito sull'angolo esterno dell'occhio dove la notte ha lasciato una minuscola increspatura della pelle? E che cosa va a fare a Modena? Chi l'aspetta? Che cosa farà questa sera? Dormirà sola? Con chi dormirà? No. Basta che venga. Basta che dietro il cancello di via Squarcia (che lui ieri sera è andato a ispezionare dall'esterno) lei compaia col suo passo disdegnoso e a quella vista l'angoscia cadrà.
E nello stesso tempo la sensazione che quella pioggia lo trascina già, una forza mai conosciuta lo distacca a poco a poco da ciò ch'è stata finora la sua vita, cose simili le ha lette più di una volta nei romanzi e non ci aveva creduto, favole assurde, e adesso lui c'è dentro e adesso non lotta nemmeno più, alla sera sì qualche volta si ribella nell'esaltazione propria della notte, adesso no, adesso la pioggia battente e selvaggia lo trascina via, e lui non alza dal gorgo non alza neppure una mano per chiedere aiuto.
Il tempo non passa mai. L'orologio segna già le sette e dieci ma Antonio ha l'abitudine di tenerlo sempre un poco avanti, saranno appena le sette e due, le sette e tre. Un'altra sigaretta. E se lei avesse cambiato idea, se avesse rimandato la partenza? Fino a che ora avrebbe aspettato? Si sentiva la faccia stanca. Si guardò nello specchio del cruscotto. Che faccia odiosa, specialmente la bocca.
Forse era ora. Ha messo in moto.
Via Squarcia deserta. C'è un cancello, di fronte alla casa di lei, e di là un vasto cortile, in fondo un padiglione. Ha fermato la macchina in modo da poter controllare l'ingresso della casa. La cabina a vetri della portineria è ancora spenta.
Il suo orologio segna le sette e venti, saranno le sette e dieci, sette e undici, piove un po' meno. Ancora una sigaretta. Verrà? Adesso è già in ritardo. Ancora cinque minuti e non si farebbe più in tempo per il treno. Cosa è successo?
Non fa che guardare l'orologio, vorrebbe non guardarlo, aspettare ogni volta un tempo conveniente, almeno. Ma l'ansia. Oh finalmente.
Sente il rumore di una porta a vetri che si chiude. Poi dietro l'inferriata, nella penombra, una figura.
Qualcosa dentro di lui che si apre, liberando una soffocazione interna, gli parve di tornare a vivere. Lei! lei!
Esce una donna con uno scialle in testa. Avrà almeno quarant'anni. Si accese la luce della portineria.
Le sette e ventitré. Quella lì non si è svegliata. Modena le preme, lui non ha capito perché Laide ci tenga tanto. E' impossibile, se si è svegliata in tempo, che non sia già dabbasso.
Scende di macchina, sale i gradini della portineria, c'è un uomo.
"Senta, per favore, potrebbe avvertire per citofono la signorina Anfossi che c'è la macchina che la aspetta?"
L'altro di malavoglia esegue: "Dice che scende subito".
Subito? Sono le sette e venticinque, va bene che c'è poca gente per le strade ma se per caso i semafori si sono già messi a funzionare, alla Stazione in un quarto d'ora non si arriva.
Le sette e mezza. Cosa combina quella disgraziata? Le sette e trentadue. Mai la Laide comparirà, non scenderà più, non gli telefonerà più, non si farà viva mai più. Ormai il treno è perso. Scattò la serratura del cancello. Lei avanzò, diritta, con quel suo passo deliberato e indifferente. Nella destra una borsa di cuoio, nella sinistra una grande valigia bianca.
Dorigo le va incontro. Lei si direbbe quasi meravigliata di vederlo là: "Mi puoi aiutare no?". Lui le prende la valigia.
"Oramai non si fa più in tempo".
"La sveglia non ha funzionato. Se non mi citofonava il portinaio..."
"Sai che sono le sette e mezza passate? In cinque minuti non ci si arriva, alla stazione".
"Perché cinque minuti?"
"Non hai detto che parte alle sette e quaranta?"
"Ce n'è un altro alle otto e cinque".
"Potevi dirmelo, no?"
"E che ne sapevo che la sveglia non suonava?"
Non gli ha detto neanche ciao, non un sorriso, anche adesso che gli è seduta accanto in macchina, non l'ha guardato neanche una volta, è tutta intenta a provare e riprovare la serratura della borsa che non chiude bene.
Non si è lavata, non si è truccata, ha un impermeabile tipo "trench- coat", è sparuta, è bruttina.
Antonio però respira, lei è qui accanto a lui nella sua macchina, per qualche minuto almeno in certo modo è sua, gli concede la sua presenza fisica, per qualche minuto lui sa che cosa sta facendo, per qualche minuto non sta con altri, l'impermeabile è corto, sporgono le due ginocchia tonde e lisce, le calze vi stanno sopra belle tese.
"A Modena in che albergo vai?"
"Ancora non lo so".
"Lui ti aspetta?"
"Lui chi?"
"Il tuo cugino, il tuo cuginetto".
"E chi ne sa niente?"
"Quanti giorni stai via?"
"Non so, dipende dal lavoro".
"Le fotografie, dici?"
"Ma se l'avrò detto cento volte" sembra infastidita, sembra capisca come lui sospetti. "E mi telefoni quando torni?"
"Certo che ti telefono".
"E di là mi telefoni?"
"Magari sì, se mi è possibile".
Guardava la strada davanti, erano in via Procaccini, pioveva ancora un poco, lei aveva un'espressione inquieta e tesa, di bestiola braccata, come quel giorno ch'era partita per Roma.
Ma lui non c'entra, lui non ha alcuna parte in quella sua inquietudine, è una partita, un duello, un gioco, un intrigo, un complotto, chissà cosa, fra lei e altre persone sconosciute del suo mondo.
E lui è escluso.
Lui era il borghese agiato che pagava.
Dino Buzzati | Un amore | Capitolo XV |
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