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Dino Buzzati | Un amore | Capitolo XVI

Quel giorno Laide sembrava più allegra e spensierata del solito. Che accanto a lui si sentisse finalmente a suo agio?
Che un principio di intimità umana cominciasse a crearsi fra loro? Una bella fetta di sole entrava di sbieco nella camera da letto battendo sulla "moquette" verde e illuminando di riflesso l'intera stanza lietamente. Erano già distesi sul letto, lei ancora in sottoveste.
Ecco, per Dorigo nella consapevolezza certa dell'amore imminente, i rari momenti di tregua e di sollievo. Non più il dubbio che lei non telefonasse più, che svanisse nel nulla, che senza preavvisi avesse lasciato Milano per sempre, non più il supplizio dell'attesa quando si avvicinava l'ora della chiamata promessa, con l'atroce stillicidio dei minuti una volta varcato il termine e allora le congetture, i sospetti, le speranze via via sfuggenti si aggrovigliavano in un vorticoso crescendo che lo trasformava in una specie di ebete automa. L'incredibile ancora una volta si era avverato.

Dino Buzzati

Laide era al suo fianco, gli parlava, si spogliava, si lasciava accarezzare, baciare e possedere, per un'ora, un'ora e mezza sarebbe rimasta con lui, là nel segreto di una confortevole casa a loro completa disposizione.

Come tutto diventava semplice e facile. E le angosce patite risultavano a lui stesso delle cose assurde. Ma perché mai Laide avrebbe dovuto negarsi? Lui era una persona educata, pulita, gentile, le offriva ospitalità in un ambiente più che decoroso, dove sarebbe potuta impunemente venire anche una principessa.
Era pazzesco che una ragazza come Laide si lasciasse sfuggire due così facili biglietti da diecimila.

La situazione gli appariva allora tanto chiara e rassicurante da escludere la possibilità di nuovi tormenti. All'improvviso Dorigo si sentiva forte e sicuro di sé, la sensazione perfino di essere guarito gli restituiva un totale benessere, quale aveva creduto di non poter conoscere mai più.
No, doveva piantarla di stare in ansia, non ci poteva essere niente di più cretino.
Dopo tutto - si diceva, convintissimo di essere sincero - a lui importava soltanto che ogni tanto Laide venisse con lui, per il resto facesse pure i cavoli suoi, lui non aveva certo l'intenzione di assumerne il mantenimento completo, oltre tutto dove li avrebbe trovati i soldi occorrenti?

("Ma a te per vivere quanti soldi ti bastano?" le aveva chiesto un giorno, mentre in auto si dirigevano alla casa di Corsini. "Be'" aveva risposto lei "io alla Scala guadagno cinquantamila se ne avessi in più altre cinquantamila sarei a posto". Ma bastava ragionare un momento per capire che era una storia. Perché altrimenti avrebbe continuato a fare quella vita?)

Si sentiva così padrone della situazione che gli parve di poter addirittura giocare. Perché non confessarle quello che un'ora prima era per lui la scottante verità? Non l'avrebbe mai fatto un'ora prima, lo avrebbe giudicato pericolosissimo. Ma adesso, che cosa ci perdeva? Adesso era sicuro di non perderla. Adesso aveva capito. Adesso poteva permettersi questo lusso.
Oppure questa confessione è un estremo tentativo per scuoterla, per farle intendere che lui non è come gli altri, lui non la considera soltanto ragazzina da letto, anzi di fare l'amore con lei non gliene importa gran che, altro è quello ch'egli desidera veramente da lei?
- "Senti" le dice, appoggiando blandamente una mano sulla gamba nuda "tu mi dovresti fare un gran piacere".
Lei lo guarda insospettita: "Cosa?".
- "Senti, mi dovresti dare una mano".
- "Come sarebbe a dire?"
- "Tu mi dovresti aiutare. E lo puoi".
- "Aiutare come?"
Capisce mentre parla che è un piccolo trucchetto da collegiali, un espediente troppo ingenuo. Ma non ha trovato di meglio. Lui che si ritiene un uomo di talento, pieno di meravigliosa fantasia, non ha trovato di meglio. E poi lei è abbastanza ignorante, piuttosto terra terra gli uomini da lei generalmente avvicinati, dunque può darsi che la trovatina funzioni, e magari sembri anche spiritosa. Chissà, per lei è la prima volta.

- "E' un brutto affare" lui dice.
- "Perché?"
- "Ho preso una cotta, una maledetta scuffia per una ragazza che conosci". "Che io conosco?"
- "Sì. E tu, se appena vuoi, potresti metterci una parola buona".
- "Proprio a me lo vieni a chiedere?"
- "Ti considero un'amica, no?"
- "Amica, ma non lo trovo molto bello che tu me lo chiedi proprio a me".
- "Be', se non vuoi".
- "No, dimmi".
- "Allora è meglio lasciar perdere".
- "Ma no, ti prego, dimmi. E' molto bella?"
- "Per me, sì".
- "E dici che la conosco?"

Lei sorridendo, incuriosita, si è tirata su a sedere, i seni non stanno più belli tesi ma si afflosciano un poco, graziosi sempre e con le punte in su, piccoli come sono. Lei non ci fa caso.

- "Dici che la conosco?"
- "Sì". "La conosco bene?"
- "Sì".
- "Come si chiama?"

Allora lui, come un bambino, si getta bocconi, nascondendo la faccia nel cuscino. Ha già capito Laide? Ha capito lo scherzo? L'ha capito da quando lui ha cominciato a parlare? O l'ha capito da parecchi giorni, da quando lui l'ha accompagnata alla stazione? O è una cosa ormai vecchia per lei che si è accorta di tutto fin dal primo giorno, dal modo con cui lui l'ha guardata mentre si provava l'abito della signora Ermelina? Le donne, anche le meno scaltre, hanno una sensibilità tremenda per avvertire ciò che avviene nell'uomo in certi casi, il misterioso scatto per cui l'animo si accende e brucia e può darsi l'uomo sul momento non se ne accorga neanche e non sospetti ma lei sì e in quel momento stesso sale invincibile sul trono, incominciando il delizioso gioco di farlo impazzire.


- "Chi è? Come si chiama?"
Lui si sollevò, chinandosi sopra di lei, e le sussurrò in un'orecchia:
- "E' un nome che comincia per elle".

Lei finalmente si voltò, ridendo, ma senza rispondere.
- "L'avevi già capito?" chiese lui.

Sorridendo lei fece segno di sì.
- "E ci metterai una buona parola?"
- "Ma c'è bisogno?"

Si stupì Antonio che lei stesse allo scherzo.

- "Certo che c'è bisogno. L'amore è una brutta malattia".
- "Oh no" disse Laide. "Invece è così bello".
- "Sarà bello quando è corrisposto. Ma nel mio caso.."
- "No, no, è bello essere innamorati, è una cosa bellissima".
- "Ma tu l'hai provato?"
- "Sì".
- "Con chi?"
- "E' morto. Un ragazzo con cui dovevo sposarmi".
- "E lui ti voleva bene?"
- "Sicuro Se ti dico che ci dovevamo sposare".
- "Be', allora è diverso".
- "Perché?"
- "Perché io ti voglio bene e tu no".
- "Bravo, bisogna lasciare anche il tempo, ti conosco da così poco".

Lui resta male. Non c'è stato in lei il minimo moto di sorpresa o di soddisfazione per ciò che lui le ha detto. Come se ci fosse abituata. Come se lui fosse semplicemente uno dei tanti. Come se fosse una cosa risaputa e dovuta a lei per diritto. Come se lui fosse un cretino qualsiasi. Ha il desiderio di ferirla.
- "Comunque" le dice "tu non hai con me nessuna confidenza".
- "Perché?"
- "M hai raccontato un sacco di bugie".
- "Non è vero. Io ti ho sempre detto la verità".
- "Anche sul tuo cognome?"
- "Cosa vuoi dire?" si è indurita, lo fissa con occhi spauriti e guardinghi.
- "Tu ti chiami Anfossi e non Mazza".
- "Chi te l'ha detto?"
- "Lascia perdere. Ti chiami Anfossi o no?"
- "Cosa significa? In teatro quasi tutti ci facciamo chiamare con un altro nome".
- "E alla Scala come ti chiamano?"
- "Rosanna Mazza. Lo puoi trovare scritto anche sui programmi".
- "E che bisogno c'era?"
- "Dimmi piuttosto: chi te l'ha detto? La signora Ermelina, scommetto".
- "E anche se fosse?"
- "Quella carogna. Meno male che non ci ho più niente a che fare".
- "Hai litigato?"
- "Cosa ti importa a te? Quando ti dico che è una schifosa".
- "Ci sarà un motivo".
- "I motivi sono tanti. E li so io. Ma non così che mi spettini tutta!"
- "Che cosa c'è oggi? Hai la luna?"
Lei sente il bisogno di rimediare. Fa uno scherzoso broncio, alza gli sguardi a lui, sbatte le palpebre con civetteria infantile.
- "Su Antonio, vieni, che ho freddo".
E nello stesso istante che si china per abbracciare e stringere il corpicino nudo, si accorge che la sua bella sicurezza di poco fa è svanita, non è vero niente che Laide sarà sempre a sua disposizione, non è vero che lui ci potrà contare, proprio nella gentile passività con cui la ragazza, rispondendo al suo abbraccio, gli ha passato un braccio sulle spalle, gesto formale, senza slancio né trasalimenti, identico a quello che le donne eseguono nel ballo anche con l'estraneo che per la prima volta le invita, c'è la maledetta distanza, poco prima quando scherzavamo sull'amore lei era molto più vicina e comprensibile di adesso che i due corpi stanno combaciando nel congiungimento carnale.
Ecco, fra poco anche questo amore sarà finito, lei andrà di là nel bagno, lui resterà supino, sul letto, vuoto e privo di gioia, poi lei ricomparirà a raccogliere i vestiti, il braccialettino d'oro, l'orologio, dirà: Dio com'è tardi su alzati ti prego, il raggio di sole sulla "moquette" verde non c'è più, una nube deve aver coperto il sole, lei dirà con un moto di stizza che barba domattina non so come fare.

- "Cosa c'è domattina?" lui domandò.
- "Te l'ho detto, no, che devo andare a Modena".
- "No che non me l'hai detto".
- "Tu almeno non ti ricordi mai di niente".
- "Modena, a fare?"
- "Per le fotografie, te l'avrò già detto cento volte".
- "Guadagni bene, almeno?"
- "Immaginarsi. Ma se dico di no, poi si resta fuori dal giro".
- "Quanto?"
- "Cinque, sette, alle volte anche dieci sacchi".
- "Per ogni fotografia?"
- "Eh, figurati".
- "E il viaggio? e l'albergo?"
- "Be', quello è pagato".
- "E quanti giorni ti fermi?"
- "Credo due giorni".
- "Perché credo?"
- "Sul lavoro non si sa mai".
- "E la sera? la sera cosa fai?"
- "Cosa vuoi che faccia? A Modena, figurati".
- "Di', a proposito, ma a Modena non c'è quel tuo cugino?"
- "Sì, ma è un tal noioso".
- "E' innamorato di te?"
- ""Oh de matt!""
- "E ci fai l'amore?"
- "Ci mancherebbe altro. Non so, per te tutti non dovrebbero pensare che a quello. E' un bravo ragazzo, per me ha un tale rispetto".
- "Come? Neanche un bacino?"
- "Non ha il coraggio di toccarmi con un dito".
- "Ti crede vergine?"
- "Spero bene. Mi considera come una sorella".
- "E cosa fa?"
- "L'ingegnere. Lavora a un oleodotto".
- "E vuol sposarti, naturalmente".
- "Lui sì. Io non ci penso nemmeno".
- "E andate a spasso insieme?"
- "Qualche volta".
- "Dove? Al cinema?"
- "Sì, per lo più al cine".
- "E' un bel ragazzo?"
- "Be', mica male".
- "Ti piace?"
- "Se ti dico che non m'importa niente. E' un mio cugino. Gli sono affezionata".
- "Anche se tu ci andassi a letto insieme, non so cosa ci sarebbe di male".
- "Semplicemente che a me non mi va. Poi figurati in un posto come
Modena. Lo saprebbero tutti".
- "Lui vorrebbe, però".
- "Lui? Bisognerebbe che tu lo conoscessi. E un timido tale. In famiglia l'han tenuto come in collegio. Figurati che quando è a Milano suo papà
gli dà la chiave di casa solo una volta alla settimana".
- "Quanti anni ha?"
- "Venticinque, ventisei, credo".
- "E come si chiama?"
- "Marcello, si chiama. E poi cosa vuoi sapere ancora?"
- "Per carità. Fa' quello che vuoi, cara".
- "Be', adesso di questo interrogatorio ne ho piene le scatole. Chiaro?"

Lui tace, invelenito. Come le darebbe volentieri un paio di sberle.
Oh, se ne fosse capace.

Lei se ne è accorta: "Come te la prendi subito, tu. E pensare che volevo domandarti un piacere".
- "Che piacere?"
- "Lo vedi che te la sei presa? Meglio non dirti niente".
- "Fa' come vuoi".
- "Vedi? E' questione che domattina devo partire alle sette e non so come fare per il tassì". "Chiamalo per telefono, no?"
- "A quell'ora non ce ne sono".
- "Figurati se alle sette non ce ne sono".
- "E poi non posso chiamare perché mia sorella tiene il telefono in camera".
- "Non puoi svegliarla?"
- "Non la conosci!"
- "Vuoi che ti accompagni io?"
- "A quell'ora! Come fai a svegliarti?"
- "Mi sveglio. Semplice".
- "E in casa cosa dici?"
- "Una levataccia non dà sospetti" e ride. "Sul serio vuoi accompagnarmi?"
- "Cosa c'è di straordinario? A che ora?"
- "Il treno parte alle sette e quaranta. Basta che tu venga alle sette e dieci".
- "Dove?"
- "A casa mia, no?"
- "Ma lo sai che non so dove abiti".
- "Via Squarcia 7".
- "Dov'è?"
- "Sai dov'è il Vigorelli? Là vicino. Puoi guardare sulla guida".
- "Basta alle sette e dieci?"
- "Ce la faremo in mezz'ora, alla stazione, spererei, anche con la tua carriola. E poi alle sette le strade sono vuote".

Svegliarsi presto, per Antonio, è morte civile. E poi sarebbe così semplice dare mille lire a un tassista perché alle sette si trovi sotto casa. Ma non lo dice. L'idea di poter rivedere Laide anche per pochi minuti. Di averla a fianco. Di entrare così un poco nella sua esistenza privata. La meravigliosa sensazione che lei abbia bisogno di lui. Soprattutto la certezza che per stasera almeno il tormento dell'incertezza e dell'attesa non ci sarà, che potrà lavorare, o ridere, o chiacchierare con gli amici come ai bei tempi. Una tregua sicura. Una sospensione. Una particella di felicità.

- "E stasera cosa fai?"
- "Stasera c'è prova a teatro".
- "E dopo, vai al "Due"?"
- "Fossi matta. Con l'alzataccia di domani".

Confusamente egli capisce che tante cose non ingranano, nelle storie che lei gli racconta.
La Scala, le fotografie, la balera, la famiglia, il cugino, la signora Ermelina, tante cose che è difficile mettere d'accordo. Eppure, quando lei parla, ogni dubbio se ne va.
Tale è il genuino accento di quella ragazzina. No, è impossibile che dica delle bugie. Ci sarebbe un sia pur lievissimo tentennamento, incertezza, nota falsa, titubanza.
E lui è lì, teso, a scrutarla, a decifrarla. E lui è intelligente, lui è di una sensibilità addirittura morbosa nel percepire le più sottili sfumature. Una ragazzetta come Laide, così lontana da ogni complicazione psicologica? Solo che tentasse di inscenare il minimo inganno, lui se ne accorgerebbe immediatamente.


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