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El Greco | Il periodo Italiano

Dal momento che Creta era, fin dal 1211, un possedimento della Repubblica di Venezia, fu naturale per il giovane El Greco (1541-1614) continuare la propria carriera a Venezia.
Anche se l'anno esatto del trasferimento non è noto, la maggior parte degli studiosi concorda nello stabilirlo attorno al 1567.
Secondo altro materiale d'archivio, ovvero dei disegni che mandò a un cartografo cretese, l'artista nel 1568 si trovava a Venezia.
Non si sa molto degli anni trascorsi in Italia da El Greco.


Visse a Venezia fino al 1570 e, secondo quanto scritto in una lettera da un suo più anziano amico, il più grande miniaturista dell'epoca, Giulio Clovio, fu "discepolo" di Tiziano, che allora aveva circa ottant'anni, ma era ancora in attività.
Questo potrebbe significare che abbia lavorato nella grande bottega di Tiziano, ma ciò non è sicuro.
Clovio lo descrisse come «un talento raro nell'arte della pittura».


Nel 1570 si trasferì a Roma, dove eseguì una serie di opere fortemente caratterizzate dallo stile appreso nel suo apprendistato veneziano.
Non si sa quanto a lungo sia rimasto a Roma, anche se potrebbe essere tornato a Venezia (verso il 1575-76) prima di partire per la Spagna.
A Roma, dietro raccomandazione di Giulio Clovio, fu accolto come ospite a Palazzo Farnese, che il cardinale Alessandro Farnese aveva trasformato nel centro artistico e intellettuale della città.
Lì entrò in contatto con l'élite intellettuale romana, tra cui l'erudito Fulvio Orsini, la cui collezione in seguito incluse sette dipinti dell'artista (tra cui Veduta del Monte Sinai ed un ritratto di Clovio).


Diversamente da altri artisti cretesi trasferitisi a Venezia, modificò il suo stile in modo sostanziale e cercò di distinguersi inventando interpretazioni nuove ed insolite dei soggetti religiosi tradizionali.
Le opere dipinte in Italia furono influenzate dallo stile del Rinascimento veneziano dell'epoca e presentano figure allungate che rievocano quelle del Tintoretto e un uso del colore che riconduce a Tiziano.
I pittori veneziani gli insegnarono anche ad organizzare sulla tela le sue composizioni di varie figure, creando scenari pieni di vita e con una luce capace di creare atmosfera.


Grazie al periodo trascorso a Roma, i suoi dipinti si arricchirono di caratteristiche tipiche del manierismo dell'epoca.
All'epoca del suo arrivo in città, Michelangelo e Raffaello erano già morti, ma il loro esempio continuava a essere estremamente importante, praticamente inevitabile per tutti i giovani pittori. El Greco era deciso a lasciare la propria traccia a Roma, difendendo le sue convinzioni artistiche, le sue idee e il suo stile.
Apprezzò molto il lavoro del Correggio e del Parmigianino ma non esitò a criticare duramente il Giudizio universale di Michelangelo realizzato nella Cappella Sistina fece a papa Pio V la proposta di lasciarlo ridipingere interamente l'affresco secondo i dettami della nuova e più rigida dottrina cattolica.


Quando, successivamente, gli venne chiesto che cosa pensasse di Michelangelo, rispose che «era un brav'uomo, ma non sapeva dipingere».
Si è quindi posti di fronte a un paradosso: si sa che rigettò con forza o addirittura condannò l'opera di Michelangelo, ma allo stesso tempo gli fu impossibile sfuggire alla sua influenza.
L'influenza di Buonarroti infatti si può vedere in opere più tarde, come l'Allegoria della Lega Santa.


Realizzando i ritratti di Michelangelo, Tiziano, Clovio e, presumibilmente, Raffaello in uno dei suoi dipinti (La purificazione del tempio), non solo espresse la sua gratitudine nei loro confronti, ma di fatto reclamò di poter essere messo sullo stesso piano di quei grandi maestri.
Come si può leggere nei suoi stessi commentari, vedeva quegli artisti come modelli da emulare.
Nelle sue Cronache, scritte nel XVII secolo, Giulio Mancini lo incluse tra i pittori che avevano promosso, in vari modi, una rivalutazione degli insegnamenti di Michelangelo.


A causa delle sue convinzioni artistiche non convenzionali e della sua forte personalità, ben presto a Roma si procurò dei nemici.
L'architetto e scrittore Pirro Ligorio lo definì uno «stupido straniero» e materiale d'archivio recentemente scoperto racconta di una lite con Farnese, che costrinse il giovane artista ad abbandonare il suo palazzo.
Il 6 luglio 1572, fece una protesta ufficiale per questo fatto e pochi mesi dopo, il 18 settembre 1572, pagò la propria quota d'iscrizione alla Gilda di San Luca come pittore miniaturista.
Alla fine dell'anno aprì la propria bottega e ingaggiò come assistenti i pittori Lattanzio Bonastri de Lucignano e Francisco Preboste.